La Musica dell’Opera Zarqa Al-Yamama
Bentornati!
La volta scorsa abbiamo analizzato a fondo come la storia sia diventata un libretto e come il libretto si sia trasformato in un’opera. Abbiamo incontrato i protagonisti della storia e passato in rassegna la sinossi dell’intera opera.
Oggi esamineremo la sua musica, scena per scena, descrivendo ciò che si può percepire all’ascolto e come questo sia collegato al dramma che si svolge sul palco.
ATTO 1
Scena 1
Tanto per cominciare… manca l’overture! Questo è di certo un elemento distintivo, anche se non raro nell’opera contemporanea. In passato, l’overture era necessaria per presentare i temi musicali e coinvolgere così maggiormente gli ascoltatori. I tempi cambiano, però, e occorre adattarsi.
Il pizzicato dei contrabbassi apre le danze, in un metro di 5/4, con le percussioni arabe (sia in- che fuori-scena) ed il flauto contralto che presto si uniscono. Afira inizia a cantare la sua aria, ed il primo intervallo è quello di una settima maggiore, cosa che contribuisce immediatamente a stabilire l’atmosfera del pezzo.

Nonostante quest’aria sia cantata da Afira, si tratta in realtà del tema di Zarqa, che ritornerà diverse volte nel corso dell’opera. Ogni volta che Zarqa compie una profezia o i suoi effetti stanno per manifestarsi nella storia, è possibile sentire questa melodia ripresentarsi, più o meno variata. Gli intermezzi orchestrali tra le sezioni vocali ci introducono ad una caratteristica distintiva della musica di Lee Bradshaw, che chiamerei “abbellimenti arricchiti”. Si tratta di gruppi irregolari di note che, trovandosi all’inizio o alla fine di una battuta, aiutano a far progredire il discorso musicale. Eccone un esempio nei legni:

L’ingresso di Zarqa genera un repentino cambio di carattere: la sua linea è quasi un recitativo cromatico, oscillante tra il Fa e il La, una terza maggiore sopra, mantenendo il Fa diesis come baricentro. Ad accompagnarla sono solo gli archi, nel loro registro più acuto, in netto contrasto con il messaggio che Zarqa sta trasmettendo, ovvero che “l’amore guiderà il vostro cammino”.
Afira riprende quindi il suo canto, chiedendo a Zarqa cosa veda oltre l’orizzonte. La risposta di Zarqa, contrassegnata con “Doloroso” nello spartito, si riappropria finalmente dell’intervallo di settima maggiore che le appartiene, con addirittura un salto di nona minore a marcare le parole “io vedo”.

Quando Zarqa rivela di intravedere un cuore spezzato nel loro futuro, la melodia alterna settime maggiori e minori, esprimendo incertezza. Gli archi gravi ed i legni introducono una linea che tornerà ripetutamente in punti precisi, simboleggiando la tempesta del deserto:

Ogni volta che sentiamo questa figurazione, possiamo percepire il vento nel deserto, o la tempesta che si avvicina in lontananza. Inoltre, ci dice che qualcosa è in procinto di cambiare. La prima scena si conclude con il coro fuori scena che intona un canto di stile quasi ortodosso, a cui Zarqa risponde con un finale “Vedo un cuore spezzato” su un intervallo di settima maggiore tra Re e Do diesis.
Scena 2
La seconda scena inizia bruscamente con l’ingresso degli ottoni che annunciano il “tema della tirannia” di Re Amliq, il quale viene introdotto in scena sul suo trono di ossidiana.

Il compositore ha già illustrato la sua visione di questo tema e dei suoi intervalli nella sua intervista qui sul blog.
I corni seguono rapidamente con una linea solistica i cui intervalli saranno poi ripresi sia da Amliq che dal suo attendente, Riyah.

Non lasciatevi ingannare dall’apparente innocenza della quinta giusta (simbolo del potere reale), ed osservate piuttosto il contorno globale: da Mi naturale a Mi bemolle/ Re (trasposto dalla parte dei corni), un’altra settima! La linea del tamburo rullante raffigura aggressivamente il potere militare con cui il re soggioga i suoi sudditi. Segue un recitativo di Riyah in cui egli introduce Hazila e Qabis al re, giunti per chiedere giustizia riguardo alla loro disputa per l’affidamento del figlio. La voce tonante del re alterna ampi salti intervallari a discese cromatiche, espressione della sua intolleranza attraverso la quale è comunque costretto ad esprimere un giudizio sensato.
Ciò che segue è uno dei momenti melodici più belli dell’intera opera, denominato “Ninna Nanna”, in cui Hazila supplica il re al fine di ottenere giustizia (“I nostri figli sono la nostra speranza e sicurezza”).

Questa è accompagnata dai fiati singoli, dal terzo corno, dall’arpa e dagli archi in tremolo e pianissimo. L’aria, in forma ABA, prosegue con la “Fanfara dei Defunti”, in tempo leggermente più rapido, con solo i registri più bassi di ciascuna famiglia strumentale coinvolti. La ninna nanna ritorna, infine, con una chiusa ornamentata.
Dopo una breve pausa, Re Amliq emette il suo verdetto finale: il loro figlio verrà fatto schiavo alla sua corte. Il tema della tirannia ritorna, e, finalmente, abbiamo un’aria degna della voce di basso del re. La sua ira è espressa attraverso enormi salti intervallari in entrambe le direzioni, una sfida demoniaca per il cantante.

Amliq e Hazila si impegnano in un duetto/duello, il primo inflessibile, la seconda disperata per ciò che è stato appena deliberato. Il re non ama essere contraddetto e decide di umiliare l’intera tribù, con l’orchestra al completo ed il coro che, insieme, annunciano la gravità di questa decisione. Con un ultimo recitativo, Amliq dichiara che nessuna vergine di Jadīs si sposerà se non avrà prima giaciuto con lui. La melodia di questo recitativo sembra un trapano che cerca di penetrare una parete: piccoli intervalli contorti seguiti da improvvisi salti.

La scena si chiude con un lento corale degli archi e dei fiati solisti.
Intermezzo — Quartetto
Questa sezione rappresenta i preparativi per il matrimonio tra Afira e Naoufel, ed è orchestrata per quattro solisti (i due sposi e le due damigelle), coro ed un delicato accompagnamento orchestrale. Tale assieme si presta meravigliosamente alla scrittura contrappuntistica, ed il risultato è semplicemente sorprendente. Inizialmente ascoltiamo le tre voci femminili, sostenute dal coro, seguite poi dall’assolo di Naoufel (tenore). La melodia descrive ampi archi con i suoi salti di settima, per poi ricadere vicino al punto di partenza, nella migliore rappresentazione possibile di un arcobaleno musicale. Ecco un momento in cui le quattro voci cantano insieme.

Dopo un breve duetto tra i futuri sposi, l’intermezzo si chiude con un toccante “Solo” per il primo violino, la cui bellezza ricorda la prima delle Quattro Ultime Canzoni di Richard Strauss.
Scena 3
Il coro intona un motivo di danza allo stesso tempo gioioso e furioso, in tempo di 3/4, intercalato da momenti in 6/8 nella seconda battuta di ogni frase, invitando festosamente la sposa a farsi avanti. Un’intima danza d’amore, eseguita solo da fiati solisti, contrabbasso e percussioni arabe, interrompe brevemente la danza, che poi riprende, prima che, dal nulla e con violenza, il tema della tirannia irrompa all’improvviso.
Re Amliq arriva con i suoi soldati per portare via Afira. Quasi ironicamente, il re canta lo stesso “portate la sposa” che il coro stava gioiosamente intonando poco prima: il contrasto è crudele e potente. Il fratello di Afira, Il Nero (Al Aswad), emerge dalla folla e si impegna in un duetto con il re. La tensione e la disperazione sono palpabili nelle melodie, entrambe muovendosi per piccoli intervalli.

Il tema della tirannia raggiunge il suo apice quando gli uomini di Amliq (la parte maschile del coro) si dispongono in una formazione serrata e ricordano ad Al Aswad che l’intera tribù verrà massacrata se non si sottomettono.
La tromba con sordina annuncia il recitativo tra Al Aswad e Amliq, in cui il primo tenta di sfidare il secondo a duello, ma viene respinto. Un salto di nona minore sottolinea la frase del fratello di Afira, “Nessuna umiliazione verrà accettata!”. La tribù preoccupata è rappresentata da tutto il coro che sussurra tra di sé.
Con Afira portata via dai soldati di Amliq, Zarqa ritorna in scena con un lamento straziante accompagnato dal violoncello solista:

L’aria che segue, cantata dalla veggente mezzosoprano dagli occhi blu, sostituisce ora le settime con quarte eccedenti sulle parole “dolore eterno”. Solo quando riflette su come la sua visione di cuori spezzati e lacrime si sia avverata, tornano i grandi intervalli. I contrabbassi divisi, con glissandi lenti ed ornamenti arricchiti, rinforzati dai timpani e dalla gran cassa, conferiscono a questa sezione finale un immenso potere drammatico.
Quando la “Fanfara dei Defunti” ritorna, la melodia di Zarqa assume quasi il ritmo di una lugubre Sarabanda e, successivamente, una variazione della melodia precedente si fa risentire. Le linee di questa aria sono molto lunghe e non risolvono mai veramente la loro tensione, rendendo il pezzo una vera sfida da sostenere, e non solo per la sua lunghezza (circa 5 minuti).
Scena 4
Nella quarta scena assistiamo ad Afira, devastata, emergere dagli alloggi di Amliq, chiedendo:
Perché proprio a me? Meritavo di essere forzata contro la mia volontà?
Il suo pianto e la sua sofferenza vengono magistralmente descritti dal fatto che ogni battuta della melodia rappresenta una frase musicale a sé stante. Non ci sono linee lunghe, Afira non riesce a respirare per ciò che le è appena accaduto. L’alternanza continua di tutti i tipi di intervalli di seconda (minore, maggiore, aumentata) conferisce a questo brano un’atmosfera simile al Giro di Vite di Benjamin Britten. Più Afira canta, più soffriamo con lei. Gli unici due salti—settime, ovviamente—servono a rappresentare i suoi disperati rantoli alla ricerca di aria fresca.

I fiati solisti cercano di consolarla, ma lei continua a esprimere la sua disperazione con discese cromatiche ornamentate. La parte finale della sua aria è più libera e utilizza frammenti della scala ottatonica, concludendosi in uno speranzoso Re bemolle maggiore.
Il coro prende quindi il sopravvento, diviso in due metà, una che canta e l’altra che compie respiri affannosi. L’orchestra stabilisce un tappeto sonoro in Si bemolle maggiore con gli strumenti più gravi, contrastato solo dal flauto piccolo. Cosa c’è di meglio per esprimere l’oscurità più assoluta se non l’accostarla ad una luce accecante?
Scena 5
Nella quinta scena assistiamo al raduno della tribù guidato da Hazila ed Al Aswad e sostenuto da un ritmo furioso del tamburo rullante e dai tremoli degli archi.

Hazila inizia a cantare, invocando l’onore della tribù. Il pedale in Do diesis negli archi descrive la folla senza parole, ferma ad ascoltare mentre Hazila cerca di scuoterli con la sua linea espressiva.

Interviene ora “Il Nero”, con una sesta minore che ricorda l’overture del Tristano, esprimendo la vergogna che prova per il disonore subito da sua sorella. L’elemento della “Tempesta del Deserto” sentito nella prima scena ritorna nei fiati. Un assolo di tromba, sviluppo di quello già ascoltato nello scambio tra Amliq e Al Aswad, introduce l’assolo del nobile di Jadīs. Al Aswad raduna definitivamente la tribù, con una potente marcia che sostiene il suo discorso. Ecco l’inizio della sua linea:

Il salto ascendente di una quarta nella seconda battuta viene sostituito da una quinta aumentata, seguita da una quinta giusta in giù e da una quinta diminuita in su, descrivendo come “la morte è meglio di una vita nella vergogna”. Il coro maschile si unisce a lui, raddoppiando la melodia all’ottava inferiore, per un’immediata espansione del suono e della profondità drammatica. Quando la parte femminile del coro si unisce, l’attenzione si sposta sulla loro preoccupazione per la promessa fatta da Amliq di annientarli.
In un recitativo accompagnato solo dagli archi bassi e dalla tromba solista, Al Aswad spiega il suo piano alla tribù. Il suo “pagheranno” suscita una reazione degli archi che glissano disperatamente da e verso un esacordo (accordo di 6 note: Fa-La bemolle-Do-Mi-Sol-Si) in diverse inversioni.
La furia della tribù prende vita in un potente coro con accompagnamento orchestrale a pieno organico.

La scena si chiude con un recitativo a due voci tra Zarqa e Al Aswad, dove lei cerca, invano, di convincerlo a riconsiderare la sua decisione.
Scena 6
La sesta scena si apre con un assolo di flauto contralto che esplora il materiale tematico legato al personaggio di Zarqa. Gli Arabi Estinti intervengono fuori scena, cantando di come Jadīs sarà vendicata. È ora il momento del lamento di Zarqa: lei vede ciò che sta per accadere ed è affranta dall’incapacità di fare qualcosa per impedirlo. La melodia è costruita su questo motivo:

Intervalli dissonanti vengono integrati in modo più fluido questa volta, con un unico salto di ottava diminuita che sottolinea il “cosa muove le spade più dell’orgoglio” nel testo. La sua linea melodica termina su una diversa disposizione degli intervalli trovati nel tema della tirannia: prima avevamo Re / Mi bemolle / La, ora abbiamo Do bemolle / Fa / Si bemolle. In un certo senso, l’ora di Re Amliq si avvicina, ma ciò che Zarqa vede nel futuro della sua tribù dopo tale evento non è positivo. Li attende forse ancora più sofferenza?
Mentre gli archi oscillano tra La bemolle minore e Re bemolle maggiore, Hazila cerca di capire cosa Zarqa intenda con le sue parole. La sua melodia, in modo lidio costruito sul Sol, esprime tutta l’incertezza e la paura che l’imperscrutabile futuro porta con sé.

Il coro, sussurrando in Sprechgesang, descrive la tribù nell’atto di affilare le spade, accompagnato solamente da un cupo gong in lontananza.
Segue un teso momento orchestrale, dopo il quale ritorna il coro ascoltato alla fine della scena precedente. È deciso: Jadīs renderà omaggio a Tasm, ma a modo suo.
Scena 7
La prima parte di questa scena è occupata dalla danza di guerra della tribù di Jadīs. Il metro di 5/8 con enfasi alla fine della battuta sottolinea la crescente energia sanguinaria. La musica si ripete incessantemente, quasi come in una trance, ma una cosa è certa: cresce continuamente, con sempre più strumenti che si uniscono ad ogni pagina. Quando la danza termina, Hazila si avvicina a Zarqa chiedendole cosa vede, cosa sente e perché quel luogo sembra avvolto dalla paura. La sua melodia è quasi un cantus firmus, cosa che esprime quanto Hazila sia stanca di tutto questo. Anche qui si può sentire l’intervallo di seconda minore dell’inizio della sua “ninna nanna” nella seconda scena, un’eco del dolore che prova per la perdita del figlio.
Zarqa risponde che percepisce morte, tirannia e disastro, che a Tasm non è promesso un domani, ma nemmeno a Jadīs. Inizialmente, la melodia fatica a decollare dal suo punto di partenza (Do), poi, con un’esplosiva sesta maggiore, sfugge alla gravità e continua a salire verso i sogni di cui avrebbe voluto gli Arabi Estinti le avessero parlato.

Ritorna poi ad un registro più grave, con la parola “morte” descritta da una terza maggiore apparentemente innocente, mentre “tirannia” e “disastro” usano seconde minori e maggiori attorno alla nota Re.
La scena e l’atto si chiudono con un’ascesa quasi interamente cromatica al Do, con l’orchestra che suona un accordo di armonia quartale di Do diesis / Fa diesis / Si / Mi diesis, mentre il corno inglese accompagna la chiusura del sipario con un La bemolle ornato.
ATTO 2
Scena 8
Il secondo atto si apre con il banchetto-trappola organizzato dai Jadīs per vendicarsi di Amliq e dei Tasm. I fiati eseguono una prima iterazione della fanfara reale, con melodie scritte intenzionalmente per essere particolarmente difficili da intonare—ne riparleremo tra poco.
In un duetto-recitativo, accompagnato solo dagli archi, Amliq nota Hazila e le comunica che suo figlio è morto. Poi si rivolge ad Al Aswad, e tra i due inizia un duetto. Assistiamo ora al momento ritmico più coinvolgente dell’opera, con una sezione di ostinato negli archi gravi e nei fagotti che accompagna le voci.

I fiati, non mostrati nell’immagine, intervengono con i loro abbellimenti arricchiti per mantenere alta la tensione. Entrambe le melodie evitano gli intervalli ampi, muovendosi invece a piccoli passi, come un leone ed una tigre che si studiano, ognuno pronto a balzare.
Il coro—nei panni della corte di Amliq—si unisce al figurativo campo di battaglia, invocando la sposa: il re vuole vedere Afira. Quando finalmente gli archi acuti si uniscono, essi favoriscono il nuovo ingresso della fanfara reale, questa volta completamente stonata. La partitura stessa afferma:
L’orchestra suona “stonata”
Non si tratta quindi di un errore!
Ritorna ora la melodia che annunciava l’ingresso di Afira all’inizio dell’opera. Sulla stessa melodia, ella non canta più “Zarqa” ma “Amliq”, insinuando come il re ora sia debole. Dà poi il segnale a suo fratello e, come abbiamo visto nella sinossi, la violenza viene evitata sul palco sostituendo il massacro con l’avvelenamento. Infine, Afira convince Al Aswad a risparmiare la vita di Riyah in quanto fratello di Zarqa.
Il coro ritorna, questa volta celebrando la vittoria dei Jadīs e il compimento della loro vendetta.

Gli archi gravi riprendono la melodia della “Tempesta del Deserto”, mentre gli ottoni introducono il tema del trionfo di Al Aswad. Il fratello di Afira, quindi, si lascia andare ad un’aria appassionata:

Si tratta di una linea melodica impegnativa, tutta nel registro acuto, tra Fa diesis e Si, alternando continuamente mezzi toni e toni interi. I pochi salti (seste e settime minori), quindi, offrono un contrasto ancora maggiore. Il tema del trionfo viene infine ripreso dal coro, cantando in fortissimo:
“Al Aswad” (Il Nero).

Poi, improvvisamente, il coro cambia ruolo, tornando a vestire i panni degli Arabi Estinti, questa volta con una scrittura corale così diversa da tutto ciò che abbiamo appena sentito da provocare un vero turbamento. Tentano di avvertire i Jadīs che ciò che hanno appena fatto avrà gravi conseguenze.
Intermezzo e Scena 9
Segue ora un breve intermezzo, con Zarqa sul palco insieme alla piccola Nora, accompagnate dal flauto ney e dall’oud. Zarqa canta un Hijeni, un tipo di canto popolare usato dai cammellieri per mantenersi in contatto durante le lunghe marce notturne.

È una melodia innocente che potrebbe essere in Do minore, ma queste cinque note sono tutto ciò che si sente, lasciandoci nell’oscurità riguardo a ciò che ci attende.
La scena poi si sposta sulla tempesta nel deserto che Riyah sta attraversando per raggiungere il re Hassan del regno Himyarita. Gli archi gravi ed i legni ripetono i loro gesti rapidi come se fossero un avvertimento di eventi funesti imminenti. Un costante tappeto ritmico ci spinge in avanti, mentre la linea melodica è affidata al clarinetto basso, che insiste su una settima minore (Si / La). I legni acuti e gli archi tentano di prendere il sopravvento con brevi ed impetuose linee, poi, improvvisamente, tutti gli archi citano la melodia di Zarqa, introducendo l’emergere del fratello Riyah dalla tempesta.
Egli si presenta al Comandante dell’esercito con una melodia che riecheggia ciò che il clarinetto basso aveva ripetuto fino a quel momento:

Il ritmo diventa più frenetico, sottolineando i suoi sentimenti contrastanti. Cerca vendetta, ma è anche preoccupato di cosa potrebbe accadere a sua sorella, Zarqa. Il tema della veggente (la settima minore seguita da seconde ascendenti e discendenti) è costantemente presente negli archi, quasi a pungere la coscienza di Riyah.
Non appena ottiene l’attenzione del comandante, si impegna in un recitativo accompagnato da sei violoncelli divisi. Tramite esso avverte l’esercito dei poteri divinatori di Zarqa. Osservate come il materiale melodico dei due personaggi si intreccia qui:

Scena 10
Come previsto da Riyah, Zarqa vede l’esercito avvicinarsi e prova ad avvertire la sua tribù. Lo fa con salti disperati verso l’alto, inizialmente in ottave, poi in none minori, sulla parola “Attenzione!”. Tra questi gridi, la sua melodia sale lentamente in modo cromatico, con un massiccio uso di dinamiche improvvise ed esplosivi crescendi.

Alla fine, i salti diventano ottave diminuite, come se stesse perdendo la forza di combattere. La tromba solista annuncia ancora una volta l’ingresso di Al Aswad. Curiosamente, ora, la melodia cantata dal nuovo sovrano è estremamente leggera, con una sensazione generale di indifferenza, alimentata, e non poco, dal suo nuovo orgoglio. Mentre l’orchestra è chiaramente in 3/4, la voce—raddoppiata dal primo fagotto—procede in 6/8. Assistiamo al re appena eletto che, con arroganza, guarda Zarqa con disprezzo, non credendole. I legni, in un movimento simile ad una trance, sottolineano la confusione generale che regna nel campo.

Zarqa riprende a lanciare il suo avvertimento con rinnovata energia, questa volta ancora con le none minori—terribilmente difficili da cantare nella dinamica richiesta (fortissimo). Torniamo ad Al Aswad, che ancora non crede alla veggente della tribù. Da notare ora i due fagotti che procedono in quarte parallele in un movimento discendente cromatico da La bemolle a Mi bemolle.
Entrambi consapevoli dell’inutilità dei loro sforzi, Hazila e Zarqa si impegnano in un duetto struggente, accompagnato solo dai legni con linee che ricordano l’Uccello di Fuoco di Stravinskij.

Alla fine di questo duetto, Hazila crolla a terra, priva di sensi.
Scena 11
Questa scena è introdotta dal flauto contralto che propone nuovamente il tema di Zarqa. Mentre lei canta dell’arroganza del suo popolo, Hazila muore silenziosamente tra le sue braccia. La veggente dagli occhi azzurri intona così una ninna nanna per la sua amica, le cui parole sono semplicemente strazianti:
I tuoi occhi brillano come stelle che salutano la nostra terra

I tromboni si uniscono agli archi nell’accompagnamento, con una dinamica PPP che rende il loro ruolo estremamente impegnativo.
Questa aria è strutturata approssimativamente in forma ABA: la prima parte si muove in onde, mentre la seconda inizia su un Sol e ritorna a quella stessa nota ogni quattro battute, come se un orologio implacabile stesse scandendo il tempo fino all’inevitabile destino. Questa sezione termina su un inquietante accordo di Si bemolle minore.
Quella che segue è, forse, la parte più incredibile dell’opera. Anche dopo aver assistito a cinque prove, durante la prima non sono riuscito a trattenere le lacrime; era semplicemente troppo emozionante. L’orchestrazione di questa “Ninna Nanna” consiste nell’intera sezione dei violoncelli divisa in quattro voci, il clarinetto basso ed il coro (con brevi interventi dagli altri archi). È difficile trovare le parole per descriverlo, quindi lascerò parlare lo spartito:

Ciascuna delle oscure affermazioni del clarinetto basso racconta la propria storia, con il Sol diesis grave che muta ruolo tra ponte e punto di arrivo. I movimenti ottatonici, poi, danno l’incertezza necessaria a sostenere il dramma che si sta svolgendo sul palco. Il coro, quindi, entra in scena da destra, camminando molto lentamente e sviluppando armonie da brivido. Cantano dei sogni e delle memorie che accompagneranno Hazila nel suo sonno eterno e, con una conclusione in Re maggiore, siamo incoraggiati a pensare che, alla fine, tutto andrà per il meglio. Tuttavia, dovremo aspettare ancora un po’, poiché stiamo per assistere alla furia del destino abbattersi sulla tribù di Jadīs.
Credo sinceramente che questo breve coro sia un capolavoro, tanto che mi sono permesso di battezzarlo come il “Va’ Pensiero” del popolo arabo. In Verdi, il coro canta di un popolo in catene; qui, le catene di un ciclo di vendetta ed orgoglio infinito e privo di senso tengono prigioniero il popolo arabo. La storia dirà se avevo ragione o meno nel lanciarmi in una dichiarazione così audace, ma, per ora, so che custodirò questo brano come uno dei pezzi di musica più incredibili mai scritti.
Scena 12
L’ultima scena si apre con un terrificante coro di battaglia, in cui le forze del re Himyarita riescono a sorprendere i Jadīs, massacrandoli tutti fino all’ultimo uomo. Al Aswad è tra i primi a cadere, e i fantasmi dei Tasm uccisi si animano per unirsi alla battaglia, assicurando che la vendetta sia completa.
L’orchestra al completo ed il coro descrivono la battaglia in una furiosa danza in 3/4, con la melodia basata su di un Si con intervalli sempre più ampi (una quinta, una sesta minore, una settima minore), ciascuno a dipingere una bocca che si apre sempre di più, urlando di terrore ogni volta più forte. Gli strumenti gravi, invece, si oppongono con movimenti cromatici, inizialmente discendenti, poi ascendenti, e con improvvisi salti di settima.
Un tema contrastante con fiati solisti, coro sussurrante ed archi gravi offre un breve sollievo ma, in realtà, rappresenta il punto di vista dei soldati Himyariti che si guardano intorno per verificare che nessuno sia sfuggito al massacro. La prima sezione ritorna quindi sulle parole “Il giorno è arrivato”, terminando con una rapida corsa ascendente nei fiati acuti e negli archi (in realtà, i violoncelli e i contrabbassi sono gli unici a muoversi verso il basso).
Il sipario si apre ed il “Commendatore” si aggira tra i morti, accompagnato da Riyah. La parte grave dell’orchestra si impegna in un ostinato composto dalle note Do diesis | Re | Mi | Fa | Fa diesis, con un cupo battito di gong a marcare i passi del comandante. La “Fanfara dei Defunti” ritorna nelle trombe, mentre l’arpa continua a pizzicare un Si acuto, espandendo la gamma dell’ostinato, ed il coro, rappresentando questa volta i fantasmi dei caduti di Jadīs, sussurra “forse non ci saremo più” da molto lontano.
Segue un duetto tra il Comandante e Riyah, con il primo che chiede al secondo se quella che vede sia davvero Zarqa, la veggente. Il comandante canta solo un Fa diesis grave, mentre Riyah mostra il conflitto interno che lo dilania alternando un Fa diesis all’ottava acuta e un Fa naturale, un semitono sotto. L’istruzione espressiva data a Riyah dal compositore è, infatti, “P molto espressivo e doloroso”.
Zarqa, per nulla intimidita dalla presenza del Comandante, indica la luna ed inizia a cantare “Questa è la nostra luna, ed è l’ultima che vedrai”. La melodia discende in modo ottatonico, poi salta verso l’alto di un’ottava diminuita, e di nuovo si muove verso il basso alternando intervalli di tono e semitono.

L’ostinato nell’orchestra si ferma, la trama ora densa di linee contrappuntistiche, quasi a descrivere la nebbia insondabile che circonda questi personaggi. Iniziano i tremoli negli archi, con i contrabbassi che sfruttano la loro quinta corda con il Do più grave possibile. Il Comandante risponde a Zarqa, spaventato e affascinato dai suoi occhi allo stesso tempo. La sua voce sale e scende, lacerata tra rabbia e ammirazione. Le due melodie si sovrappongono, con un’armonia risultante così tesa da quasi dissolversi in sabbia impalpabile.

Segue un breve recitativo, in cui Zarqa avverte il Comandante della sua imminente morte, scatenando la sua reazione furiosa. A questo punto inizia un ipnotico bolero, con solo l’arpa, le percussioni arabe ed il flauto contralto ad accompagnare Zarqa.

Altri fiati ed archi in pizzicato si uniscono al gruppo, mentre Zarqa avverte che il suo antimonio andrà ad Afira, facendo diventare lei la nuova veggente della tribù. In un’improvvisa pausa generale, il Comandante, non più in grado di sopportare il peso della profezia, cava gli occhi di Zarqa. Nei suoi ultimi momenti, con il flauto che suona il tema della veggente, Zarqa anticipa le parole del Finale:
Forse non ci saremo più, ma torneremo nella terra creata per noi, sopravviveremo per il nostro sogno.
Mentre Afira prende l’antimonio e se lo applica sugli occhi, il flauto contralto ripete le note con cui aveva iniziato l’opera, chiudendo il cerchio.
Il Finale è un lungo assolo di Afira, di straordinaria bellezza, in tempo di 5/4 e in modo eolio di si (in pratica il modo di si minore naturale). L’armonia è ricca di accordi con la sesta aggiunta e di cluster isolati negli archi, e l’effetto emozionale è sorprendente. Si prega di consultare la fine dell’ultimo episodio per il testo completo di questo Finale. Dopo l’accompagnamento iniziale con solo archi e flauto, si uniscono più strumenti e la testura diventa più spessa, più densa, esattamente quando Afira incoraggia i paesi arabi ad essere pazienti, dicendo che sente avvicinarsi i matrimoni del domani.
Sulla sua nota finale, un Re acuto, il coro si unisce, con tutto l’ensemble che canta un accordo di Si minore in tutti i possibili registri e rivolti. Si aggiunge una settima (La) per creare tensione, ma poi, improvvisamente, la fondamentale dell’accordo, il Si, scompare, lasciando solo un glorioso, positivo, speranzoso e, sì, sollevato Re maggiore! L’opera è iniziata con un La grave nei contrabbassi e, dopo 100 minuti di musica e dramma, la tensione si è risolta e ha trovato una casa, o meglio ancora, ha trovato la speranza.
Così termina Zarqa Al-Yamama di Lee Bradshaw, la prima opera lirica del Regno dell’Arabia Saudita. Spero che abbiate apprezzato questo lungo resoconto, ma ancor di più spero che abbiate l’opportunità di assistere a questo capolavoro di persona. Per me è stato un viaggio incredibile, e mi fa sentire come se avessi chiuso il cerchio da quel giorno, tredici anni fa, quando mi resi conto di non potermi permettere il corso di laurea in Studi Operistici dopo aver ottenuto il mio diploma di violoncello.
Vorrei esprimere la mia immensa gratitudine a tutti coloro che hanno partecipato a questo progetto, dal compositore al Direttore Artistico (Ivan Vukčević), dalla troupe di Arabian Opera a ciascuno dei meravigliosi membri del cast che hanno trasformato questo miracolo in realtà. I Dresdner Sinfoniker, il Coro di Brno, i due direttori d’orchestra (Pablo Gonzalez e Nayer Nagui) sono stati straordinari e hanno donato un’immensa carica positiva.
Essere a Riyad per questo evento è stato un onore indescrivibile a parole, e porterò sempre nel cuore tutti coloro che ho incontrato.
Grazie per aver percorso con me questo viaggio attraverso il tempo e la musica. Vi prego di farmi sapere cosa ne pensate e di contattarmi per qualunque cosa; mi piacerebbe molto sapere la vostra opinione.
Fino alla prossima, e grazie.
Michele
